Il secolo XVIII è senza dubbio il periodo di maggior splendore della Casata Perabò. Potere laico ed ecclesiastico, i due poli su cui si interagiva la politica del territorio varesino, ancora autonomo nell’ambito del Ducato di Milano, erano saldamente tenuti dalle famiglie patrizie della città.
La casata Perabò, in particolare, oramai sparsa su tutto il territorio, era divenuta una potenza politica e religiosa, in grado, col suo peso economico, di condizionare a suo piacimento, il governo della città e del contado di Varese.
La consistenza del patrimonio famigliare basato in prevalenza sulla grande proprietà fondiaria, era rimasto integra nel tempo, vuoi per il diritto di primogenitura che ne aveva impedito il frazionamento, sia per i vincoli ereditari ricorrenti nei testamenti degli ecclesiastici Perabò che consegnavano agli eredi solo la nuda proprietà dei beni.
Nella seconda metà del millesettecento, tramontata l’egemonia spagnola e subentrata la dominazione austriaca, ebbero inizio i primi screzi tra Vienna ed il patriziato che da più di un secolo teneva incontrastato il potere nei capoluoghi lombardi. All’inizio l’Austria aveva rispettato, se pur con riluttanza, gli antichi privilegi e prerogative istituzionali lombarde in cambio di una leale sudditanza politica, della totale agibilità militare del territorio e del puntuale versamento delle tasse.
In quegli anni lo stato asburgico si stava preparando ad una ridefinizione dei poteri degli enti locali nella prospettiva di una miglior razionalizzazione del settore giudiziario, amministrativo e finanziario: ovviamente sotto il controllo diretto di Vienna. Una delle modifiche sostanziali ebbe a riguardare il riparto della tassazione gravante sui beni immobili, case e terreni. Ebbe origine così il catasto teresiano in grado di imporre una tassazione proporzionale al valore reale del pregio attribuito alle proprietà.
Con la morte di Maria Teresa nel 1780, e l’arrivo al trono di Giuseppe II, la capillare erosione degli spazi di potere lombardi ebbe ad accentuarsi in misura tale da ritenere che dell’antico sovranità delle autonomie locali ben poco ancora rimanesse. Fu soppresso il Senato di Milano, punto di riferimento del patriziato lombardo, venne rivoluzionato l’assetto della magistratura; neppure il Clero potè evitare la soppressione delle immunità ecclesiastiche.
Anche il borgo di Varese ebbe a sopportarne le conseguenze; venne nominato un intendente politico al governo del Comune, funzionario di nomina regia, nella tutela della amministrazione locale sia giudiziaria che finanziaria. Nel contrasto con la Chiesa, si abolirono i Capitoli e le Congregazioni preposte ai luoghi pii, affidando a due amministratori regi il governo dell’Ospedale ed ad una giunta quello delle pie fondazioni. Cadde, tra l’altro, il tentativo di ampliamento dell’ospedale e la proposta di un suo possibile eventuale trasferimento in una nuova sede, progetto questo tanto a cuore a Francesco III d’Este defunto nel 1780.
Il ramo milanese dei discendenti di Cristofaro, nipote di Giovannolo Perabò, si erano trasferiti nel capoluogo lombardo sin dal XV secolo e, come scrive il Borri, si erano distinti < per ricchezze ed alleanze matrimoniali >. I più rappresentativi nel 1700, furono Gabrio Perabò, segretario della città di Milano ed il fratello Giuseppe divenuto Sindaco generale del Ducato di Milano. [1]
Gabrio, il 16 novembre 163, sposò Isabella Bianchi da cui ebbe due figli: Giuseppe [2] e Giò Battista. Il primo non ebbe discendenza, il secondo seguì la vocazione ecclesiastica; ebbe ad estinguersi in tal modo il ramo milanese dei Perabò. Restano ancor visibili le testimonianze di quel periodo d’oro dei Perabò di Milano di cui la più prestigiosa sotto il profilo architettonico e paesaggistico è l’attuale “villa Cagnola” in quel di Gazzada, il punto di bella vista reso più celebre dalla veduta del Bellotto. [3]
I discendenti varesini di Orricolo Perabò, divenuti nel tempo numerosi, già agli inizi del 1700, avevano lasciato il borgo di Varese per dimorare sui più gradevoli rilievi collinari delle Castellanze e del vicino contado. Gli edifici del Rione di San Rocco erano divenuti troppo vetusti per poter essere ristrutturati con profitto in uno spazio angusto come quello del centro cittadino. Ma ancor più il successo mondano delle sempre più numerose ville residenziali sorte nel circondario collinare di Varese, avevano convinto i Perabò che, al di la dei trascorsi politici ed ecclesiastici sui quali la tradizione famigliare aveva da sempre trovato riferimento, potevano essere maggiormente gradite le frivolezze di una vita di società che l’opulenta società lombarda aveva sostituito, alle velleità di potere di un tempo.
Tra il secolo XVIII ed il XIX, anche l’antico blasone dei Perabò nella vita politica e amministrativa della città di Varese, stava poco a poco oscurandosi. Un aspetto locale di un fenomeno più generale che di fatto coinvolgeva tutta la Lombardia, dacchè il governo d’Austria stava gradualmente togliendo ogni prerogativa di comando al patriziato cittadino. [4]
L’avvento della rivoluzione industriale aveva favorito, inoltre, l’emergere di una nuova figura sociale; l’uomo d’affari. Nel governo politico e amministrativo della città, il nobile venne sostituito dal capitano d’industria. Alle antiche casate che non avevano avuto la sagacia di guardare al futuro, restò solo la tradizione del passato. [5]
[1] Furono i fratelli Gabrio e Giuseppe a trasformare la tenuta agreste di Gazzada in una vera e propria villa di delizie verso la metà del secolo XVIII, ornandola secondo il gusto del barochetto lombardo.
http:/chiesadimilano.it/or4/or?uid=ADMIesy.main.index&oid=137154 11/06/05
[2] Il 23 giugno 1765 Maria Teresa d’Austria concedeva Varese con le sue Castellanze ed il contado, in feudo vitalizio a Francesco III d’Este. In caso di morte il feudo sarebbe stato concesso alla moglie, a cui veniva accordato il titolo di principessa. Nella successione non erano previsti i discendenti per cui il feudo sarebbe ritornato alla regia ducale camera del Ducato di Milano, in pratica all’Austria. L. Borri – Documenti Varesini – 1891, pp. 305-362.
[3] Leonardo Bellotto, veneziano, pittore, il poeta del colore di Villa Cagnola di Gazzada. L. Zanzi, G. Sbarazzini – Il catasto di Maria Teresa e altri segni del 700 in Varese . L. Zanzi, G. Scarazzini – il Catasto di Maria Teresa e altri segni del 700 in Varese – Giornale L’Ammonitore, 1987, pp. 5-6.
[4] L. Antonielli e G. Ghittolini – Storia della Lombardia – II° Vol. pp. 53-56. – Ed. Laterza, 2003.
[5] Il progressivo avanzamento tecnologico della industrializzazione, aveva accentuato ancor più la crisi dei latifondi. I grossi proprietari terrieri furono costretti ad alienare i loro beni per la pesante decurtazione delle rendite agrarie, ancor più per la forte concorrenza dei piccoli coltivatori-proprietari che, dalla meccanizzazione e dai nuovi metodi e tecniche di coltivazione, erano in grado di ottenere una maggior produttività e quindi maggiore competitività.
L. Antonielli e G. Ghittolini – Storia della Lombardia – II Vol. pp. 26-29 – Ed. Laterza, 2003.